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È questo il nuovo filone di ricerca reso possibile grazie all’epigenetica. Da molti anni l’attenzione del mondo universitario è tutta sulla genetica e sono stati investiti miliardi per sequenziare e studiare il DNA, il codice genetico che contiene 23.000 geni.
Fino a pochi anni fa si pensava che tutto fosse scritto nel nostro DNA. Non era così. Dopo anni di studi i ricercatori di tutto il mondo hanno constatato che il DNA non è l’unico “libro della vita”. Da solo non sa far niente, è un hardware su cui devono essere installati dei software biologici per far funzionare i tessuti e gli organi che, pur con lo stesso DNA, sono diversi tra loro. L’epigenetica è la scienza che studia come installare o riprogrammare questi software biologici.
Fino a poco tempo fa si pensava che i tumori fossero cellule con un danno irreversibile al DNA e che l’unico modo per curarlo fosse eliminare queste cellule: o rimuovendole chirurgicamente o avvelenandole con la chemioterapia o bruciandole con la radioterapia. Oggi la ricerca ha scoperto che, grazie all’epigenetica, è possibile molto spesso correggere e riprogrammare questi danni al DNA e far ritornare sane le cellule tumorali.
Questa è una delle ragioni per cui è nato questo sito: mettere a disposizione di tutti la ricerca e favorirne la diffusione.
Tutto è partito da un approccio non tradizionale: non studiare come uccidere le cellule ma studiare la vita quando si forma nell’embrione per comprenderne la logica e le leggi più profonde.
Così il ricercatore italiano Pier Mario Biava, ha osservato che se si somministrano degli agenti cancerogeni ad un embrione, prima della fase di organogenesi, è impossibile indurre un tumore ma se si somministrano gli stessi cancerogeni dopo che si sono formati gli organi ed apparati, è possibile indurre un tumore.
Si è così scoperto che durante l’organogenesi c’è un picco di particolari peptidi, chiamati fattori di differenziazione cellulare, che hanno il compito di agire a livello epigenetico ed “installare il software di differenziazione” sulle cellule. Questi meccanismi sono così precisi che, non appena intercettano un errore, e in quella fase di tumultuoso sviluppo embrionale ce ne sono tanti, sono in grado di identificarli e ripararli. Nel caso invece in cui l’errore sia troppo grave, sono in grado di indurre il programma di “auto suicido”, l’apoptosi, e la cellula con errore viene eliminata. In questo modo vengono corretti gli errori indotti dai prodotti cancerogeni e, con questa riprogrammazione epigenetica, non si forma mai il tumore.
A conferma di questi meccanismi, sono stati realizzati con successo numerosi esperimenti in vitro nei quali si sono somministrati questi fattori a colture di cellule tumorali ed, anche in questi casi, si è osservata una riduzione della crescita ed, in vivo, si sono riscontrate diminuizioni della massa tumorale. I fattori che nell’embrione differenziano i tessuti, sono in grado di differenziare anche i tessuti adulti con deviazione tumorale.
I risultati diventano ancora più sorprendenti quando si associano questi fattori ai trattamenti chemioterapici: un importante lavoro realizzato dal prof. Mariano Bizzarri, all’Università La Sapienza di Roma, ha dimostrato come, associando i fattori al 5-fluorouracile nel trattamento in vitro di cellule del tumore del colon, si è ottenuto un rallentamento della crescita tumorale del 96% quando la sola chemioterapia rallentava solo del 35%.
In un lavoro sull’uomo del prof. Tito Livraghi, uno degli epatologi più famosi al mondo, che ha visto coinvolti 179 pazienti affetti da carcinoma epatico in stadio medio-avanzato, non solo si è osservato nell’80% dei pazienti un netto miglioramento generale del performance status ma si sono registrate il 19,8% di regressioni ed il 16% di stabilizzazione della malattia. In totale il 35,8% di risultati risolutivi che per quella selezione di pazienti in stadio avanzato è moltissimo.
L’importanza di risultati si riassume nel grafico riportato qui sotto dove la curva superiore evidenzia la vita media raggiunta rispetto a quella attesa senza l’integrazione con i fattori di differenziazione, rappresentata dalla curva in basso.
Un comitato di esperti conosciuti a livello internazionale, con il patrocinio dell’EMA (European Medical Association), ha redatto un documento scientifico, sotto la direzione del prof. Michele Carruba, ordinario della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Statale di Milano, che conclude:
“Il comitato riunitosi per valutare la solidità scientifica delle ricerche descritte ha confermato l’importanza di questo filone di studio e suggerisce che vengano promosse ulteriori ricerche, sia su modello animale che a livello clinico, con l’obiettivo specifico di valutare se l’associazione tra chemioterapia e fattori di differenziazione possa dare luogo ad una efficace sinergia terapeutica.
Esiste inoltre la possibilità di mettere a punto integratori che ispirandosi a queste ricerche possano fornire ai medici un valido supporto per integrare buona parte di quei fattori di differenziazione descritti in letteratura. Tali soluzioni sono da intendersi solo come integrazione alle terapie standard e si auspica che possano essere preventivamente validate mediante opportuni studi clinici”.
È in corso un’enorme sviluppo di queste ricerche e delle relative pubblicazioni scientifiche, come anche documentato dal sito www.tumoreversion.com dell’Università “La Sapienza” di Roma che tratta della riprogrammazione epigenetica.
La strada per arrivare ad un nuovo farmaco è stata intrapresa e tra qualche anno potremo avere a disposizione il meglio della ricerca in questo ambito. Ci sono molti ostacoli economici e legislativi che rallentano il processo, tuttavia il comitato scientifico ha recentemente identificato alcuni integratori che si ispirano a queste ricerche e riescono a dare un importante contributo sinergico alla chemioterapia.
Sono in corso importanti studi clinici e chi volesse saperne di più ed entrare in contatto con medici esperti può scriverci a info(at)oncovita.org